| Capitolo ii IL RISVEGLIO DEL XIV^ MEMBRO
1.
<< Quanto tempo avrò passato chiusa qui dentro? Chissà cos’è successo lì fuori, nel mondo, intanto… chissà quante cose sono cambiate! Ma porco cane, mi sono proprio rotta di essere in coma…. O di dormire…. Non so nemmeno questo!! Sono viva e sto dormendo, o sono morta e sono nell’aldilà? Beh, se fossi morta… questo dovrebbe essere l’inferno, teoricamente, dato che non si può dire che sia una persona poi così innocente! … MA CHE CAZZO DI INFERNO E’, PORCA PUTTANA?!!! Non ci sono fiamme, non ci sono tormenti, niente forconi, nulla!! CHE PALLE!!!!! Appunto, ecco che c’è, il Nulla più assoluto… a parte quando sono sopra quelle vetrate azzurre… ma è sempre la solita tiritera… però l’altra volta… Ma mi sono proprio stufata di stare qui! Un attimo! Che cavolo è? >>
Si trovò improvvisamente in un… buco. Sentiva su di sé le gelide gocce della pioggia. Si guardò intorno: era molto buio. Tese una mano davanti a sé: terra. Era in una buca. Un lampo squarciò il cielo, e la ragazza ne approfittò per vedere meglio in che razza di luogo si trovava. Aveva una forma rettangolare, e la superficie stava parecchi metri sopra di lei. Capì: si trovava in una tomba scavata da poco, senza però la bara.
Una voce le riempì la mente: era pesante, strascicata. Era diversa da quella che aveva sempre sentito.
- Tu ti chiami Rixika, sei il progetto numero 21 del dott. Xehanorth. Creato da egli stesso per distruggere ed eliminare tutti gli esseri umani che il tuo padrone ti ordinerà. Qualunque cosa lui ti chiederà, tu dovrai compierla, senza indugi…
- Basta, chi sei? Cosa vuoi da me?- esclamò.
Cominciò a piovere, o meglio, a diluviare. Grosse gocce di fredda pioggia scendevano dal cielo tetro. La bagnavano, ma lei non sentiva freddo. Al freddo era insensibile, avrebbe anche potuto vivere al polo nord completamente nuda e sarebbe campata tutta la vita!
Una figura si materializzò davanti a lei: era un uomo, aveva lunghi e lisci capelli bianchi, pur essendo piuttosto giovane, la pelle scura, e due occhi arancione acceso.
Indossava un camice bianco, da dottore.
- Xehanorth!- disse la ragazza, mentre rabbia e stupore si scatenavano dentro di lei.
- Rixika, da quanto tempo… contenta di vedermi? - disse questo.
La ragazza lo guardò storto, e disse: - cosa dovrei fare? Correrti incontro e abbracciarti come nei film???
- Mi accontento di un abbraccio…
- L’altra spalancò gl’occhi: - Ti è caduta una trave in testa????!!
- No, ma sono morto. Mentre tu dormivi…- rispose demoralizzato il dottore.
- Ecco, a proposito, perché cazzo mi hai addormentato, pidocchio?!
- Per salvarti dal Re e da Ansem(quello vero).
- Che Re? Esiste un Re? Come sei morto?
- Sì. Viene da un mondo chiamato Disney e… tramite Ansem aveva scoperto che ti avevo creata, e che ti avevo mandata io in giro per i mondi a compiere stragi. E ovviamente, voleva distruggerti. Perciò io ti ho nascosta – rispose semplicemente Xehanorth.
- E come sei morto?- chiese la ragazza, divertita.
- ….
- Il Re ti ha preso a mazzate con il suo Keyblade…?- azzardò la ragazza- No… è caduto un meteorite sulla Fortezza Oscura…?!
- See… e ci ho trovato in mezzo un bambino alieno con la sua navicella - sbottò sarcastico Xehanorth – l’ho cresciuto come una mamma amorevole e l’ho chiamato Clark Kent, ma dopo Lex Lutor mi ha ucciso…[lo so… pessimo il riferimento -__- N.d.a.]
- Davvero?!??!
Xehanorth le lanciò un’occhiataccia: - No. Ho ceduto all’Oscurità, ma sono rimasto intrappolato in uno spazio di mezzo: tra l’esistenza e la non esistenza. Sono riuscito a incarnarmi in un ragazzino, ma il suo amichetto, il custode del Keyblade mi ha ucciso.
La ragazza rimase a guardarlo impressionata per qualche minuto. Poi le sue labbra si incrinarono verso l’alto e scoppiò a ridere.
Xehanorth la guardò sdegnato e sconvolto dalla reazione dell’altra.
- NON C’E’ NIENTE DA RIDERE!!! C’è solo da piangere!!
- La ragazza, che cercava di trattenersi, incrociò il suo sguardo quasi ferito e si sganasciò ancora di più.
- Tu…in……un... ragazzino……e… il suo amichetto…….!- balbettò tra le risate.
Quando riuscì a smettere, commentò, tenendosi ancora la pancia: - Forse era più dignitosa la storia del meteorite, Xe’. Tu, il grande Ansem, il Re degli Heartless…sconfitto da un ragazzino… questa poi….
- Sentimi un po’ ragazzina, tu non sai nulla! Tua madre aveva ragione, sei solamente un peso morto, non sei capace di fare altro, a parte uccidere e scopare: hai ucciso la donna che ti ha dato la vita, poi volevi uccidere me, che ti ho dato un motivo per esistere, un cuore…- ribattè l’uomo, maligno e arrabbiato.
- Hai ragione- disse la ragazza, con tono scocciato: Xehanorth ci stava andando giù pesante e le stava facendo notevolmente girare i coglioni- ho ucciso mia madre, ma perché tu mi c’hai costretto, anzi, hai costretto quella stupida di Kiira!! Poi, il fatto che mi aveva rovinato la vita è un’altra faccenda!
- Diventerai sicuramente una troia come lei. No, scusa, lo sei già…
- FINISCILA!!- urlò la ragazza, mentre una delle sue braccia si trasformava in una lama tagliente.
- Non hai nessuno che ti rimpianga… nessuno a cui dispiaccia il tuo coma…Questo è il posto adatto per te. Più di quanto tu stessa creda- ribattè il dottore.
La lama passò da parte a parte l’uomo, che scomparì in una nuvola di fumo. Rixika guardò verso l’alto: la superficie.
Era stanca di fare sogni assurdi.
Era stanca di dormire.
Doveva raggiungere la superficie: la libertà!
Cominciò ad arrampicarsi per la parete di terra, ma quasi subito, scivolò. Strinse i denti, e ricominciò la scalata. Avvertiva la melma che le si attaccava ai vestiti, le unghie che affondavano nel terreno e si rompevano a causa delle rocce.
Il temporale infuriava, e la pioggia la bagnava, senza però levare il sangue e il fango dai vestiti.
Una mano afferrò saldamente l’erba bagnata del prato. Seguì un’altra mano, poi un braccio, una testa, busto e gambe.
La ragazza si alzò in piedi. Era fradicia, intrisa di sangue e di fango. Si levò con gesto deciso i capelli sporchi dal viso. Solo allora sentì che le sue unghie pendevano dalle dita insanguinate: facevano male. Il dolore era troppo reale per essere soltanto un sogno…
Eppure l’aveva fatta: era riuscita a uscire da quella tomba.
Respirò l’aria gelida e pungente che correva nel cimitero buio.
Si voltò. I suoi occhi incrociarono le lettere d’ottone che erano stampate sulla lapide, alle sue spalle.
“KIIRA”
Volse la faccia al cielo scuro. Un grido raggelante le proruppe dalla bocca. Urlò. Urlò come mai aveva fatto in vita sua. La gola le bruciava, e gli occhi erano tartassati dalle gocce di pioggia. Ma non riusciva a smettere.
2.
La ragazza aprì debolmente gli occhi e una luce accecante la investì. Era assonnata, e non riusciva a respirare. Nelle orecchie sentiva un rumore assordante e vide, anche se sfocato, una stanza bianca, di un bianco accecante, con dei computer e strani macchinari intorno…
Cercò di fare un passo avanti, in cerca di aria, di ossigeno, ma si accorse di avere un vetro davanti a sé. Con le mani tastò la parete di cristallo e l’ansia la attraversò come una scarica elettrica. Era dentro una gabbia di cristallo!! Gridò dalla rabbia. Gridò, con quanto più fiato aveva in gola.
Le pareti dell’ovetto s’incrinarono e la ragazza, buttandosi in avanti, con le mani che coprivano la testa, sfondò il vetro. Una cascata di schegge di vetro volarono per la stanza e la ragazza atterrò sul pavimento in ginocchio, con un tonfo che risuonò a lungo all’interno delle pareti, insieme al rumore del vetro che si frantumava per terra.
Ritrovò l’aria e respirò affannosamente, premendosi il petto.
Si portò le mani davanti agli occhi e vide che erano insanguinate. Alcune schegge le avevano dilaniato la carne. Eppure non avvertiva dolore. Il sonno e la prolungata inattività doveva averla resa temporaneamente insensibile al dolore fisico. Respirò profondamente, sollevata: niente unghie spenzolanti.
Io… sono… viva- sussurrò debolmente. Era riuscita a risorgere dal sonno che l’aveva avvolta per quanto? Mesi? Anni?
Si alzò e si guardò intorno, e un ricordo le affiorò dai meandri della mente: quella stanza era la stessa dove Xehanorth l’aveva portata prima di addormentarla. L’ovetto spaccato al centro della stanza, con dei fili che lo collegavano a strani database…
Non doveva restare lì.
Doveva andarsene.
Doveva fuggire, se non voleva essere riaddormentata.
Velocemente, la ragazza si rialzò e si precipitò fuori dalla stanza. Corse lungo i sotterranei, senza sapere dove andare, andando alla cieca. Trovò dei passaggi, ci s’infilò e si ritrovò improvvisamente in uno dei 13 piani del castello.
Ansante, si guardò a destra e a sinistra. Perfetto, non c’era nessuno. Decise per la sinistra, e ricominciò a correre. Avvertì un rumore alle proprie spalle e si voltò per controllare, pur continuando a correre.
Senza alcun preavviso, andò a cozzare contro qualcosa, e si ritrovò senza accorgersene, stesa sopra l’oggetto, o meglio, il “soggetto”, che aveva interrotto la sua fuga. Era un ragazzo con una cresta bionda con due ciuffi più lunghi che ricadevano sulla fronte, e incredibili e sottili occhi smeraldini. Era più frastornato di lei, e visibilmente scioccato.
- L’uscita?- domandò la ragazza, velocemente, senza neanche pensarci.
Lui la guardò, poi indicò un corridoio laterale con il braccio.
- Grazie - rispose la ragazza, e schizzò verso il corridoio per poi svanire nelle tenebre davanti agli occhi sconcertati del biondo, ancora lì per terra.
La ragazza corse come se non ci fosse stato un domani, e finalmente, giunse all’ingresso del vasto Castello.
Spalancò le porte a suon di calci e, quando queste s’aprirono, guardò giù.
- Porco…!- esclamò.
Il Castello fluttuava sopra una gola. Solo qualche metro più in là c’era la terra ferma, la strada che portava al resto di quel mondo desolato e freddo.
Per fuggire da quel stramaledetto castello sarebbe bastato raggiungere la terra, e ovviamente continuare a correre… il problema era arrivarci, alla terra ferma!!
Saltare era impensabile, sarebbe precipitata di sotto di sicuro… L’unica cosa era volare. Certo volare, come no….!
Si concentrò al massimo. Doveva riuscire a riprendere il controllo di tutte le sue nanomacchine, dopo tutto quel tempo s’erano un po’ irrigidite… Un varco per l’Oscurità comparve sulla parete opposta, alle sue spalle, e un rumore di passi portò la ragazza a voltarsi.
Un uomo alto, con lunghi capelli biondi, sporchi, lunghi fino alla vita e una pelle olivastra, avvolto in un cappotto lungo fino ai piedi, nero.
- Rixika, faresti meglio a non provare ad andartene. Non intendiamo farti del male. Vieni- disse questo, con voce suadente, avvicinandosi.
Il suo nome era Vexen, ma se la ragazza non lo sapeva. Probabilmente aveva sentito dalla sua stanza un fracasso terribile e aveva capito, dalle condizioni del laboratorio, che la ragazzina s’era risvegliata.
Questa lo guardava diffidente. L’uomo le si avvicinò, prudente; la ragazza lo fissava, ostile. Egli si protese per afferrare la ragazza, ma questa, fulminea, lo evitò. La cascata dei lunghissimi capelli della ragazza si divise in due parti, e le ciocche di una di esse si unirono tra loro e assunsero la forma di un braccio gigante, che scaraventò violentemente Vexen contro la parete opposta, provocando una lunga crepa nel muro. La ragazza vide, in un angolo dell’atrio, un telone beige che copriva qualcosa. Ne riconobbe la forma, e decise di fare una pazzia.
Corse rapida verso l’angolo, gettò il telo e montò al volo su una moto rossa. Una fiammante Honda civic.
<< Perfetto, è da corsa >>pensò la ragazza.
C’erano pure le chiavi… che botta di culo!
Sperò che si mettesse in moto immediatamente: aveva i minuti contati. Non aveva neanche il tempo di fare una piccola magia per confondere il suo inseguitore, che si stava rialzando.
VROOM. VROOOOM....
<< Dai, forza!!! >>
VROOOOOM…
<< Si dai! Ancora un po'... >>
Vexen stava invocando il suo scudo gigante, ed avvertì dei passi che si avvicinavano dalla scalinata.
VROOOOOOOOOOM!!!
La ragazza partì di botto, come una saetta. Quasi non vide che sfiorò un ragazzo dagli accesi capelli rossi che aveva appena sceso le scale, in tutta tranquillità. Prese la rincorsa e sfrecciò verso l’uscita. L’uomo con lunghi capelli biondo sporco cercò di fermarla, mettendosi in mezzo, ma la ragazza non indugiò e tirò dritto. Vexen, vedendosi arrivare addosso una pazza in moto, frenò il suo istinto kamikaze e si buttò di lato, per evitare di essere travolto.
Aveva le tempie che le pulsavano, ma quella che provava non era paura. Non aveva mai avuto paura di nessuno nella sua intera esistenza. Erano gli altri a dover avere il terrore di lei, Ansem gliel’aveva insegnato.
E ora doveva saltare quel maledetto precipizio. Stava andando al massimo: la freccetta che indicava la velocità sarebbe potuta schizzare via da un momento all’altro. Stava raggiungendo il bordo. Trattenne il respiro e impennò.
La moto si staccò dal pavimento del castello e dopo un volo, che la ragazza vide a rallentatore, e atterrò anche se con una piccola sbandata.
Riprese il controllo della moto, e continuò a sfrecciare, senza guardarsi indietro.
Vexen e Axel la guardarono allontanarsi, inoltrarsi nella città buia, illuminata solamente dalle luci al neon degli alti palazzi.
- La… mia… moto…!!!!!!!!!!- balbettò traumatizzato il rosso.
+++
3.
Nella Gummiship reale, nel frattempo, la Regina Minnie guardava perplessa e ansiosa la giovane di fronte a lei.
- Qual è la sua decisione, principessa Kairi?- domandò grave- Accetterà la missione o…?
Kairi sembrava ancora persa nelle sue riflessioni, quando la regina le rivolse la parola dopo parecchie ore. Gli occhi non si staccavano dal tavolino che la divideva dalla Regina, senza però vederlo davvero.
- Questa volta, non resterò a guardare la battaglia. Non starò in disparte… questa volta. Combatterò- disse determinata, alzando finalmente lo sguardo per incontrare quello della Regina.
La reale vide in quegli occhi una determinazione a lei sconosciuta, un carattere forte, un coraggio che non aveva pari.
Vide la fermezza che poteva infondere l’amore nel cuore delle persone.
- Sono lieta di questa sua decisione, principessa.- disse la Regina Minnie- Ma non andrà via a mani vuote. Potrà scegliere l’arma che più la soddisfa, l’abbigliamento più comodo…
Con un semplice schiocco di dita, dei bauli fecero la loro comparsa sul tavolo tra le due.
- In quelli rosa, vi troverà tutte le armi migliori della nostra armeria. In quelli viola, degli abiti di prima mano. A lei la scelta- indicò Minnie, allontanandosi dalla saletta, per dirigersi verso la porta alle sue spalle.
Kairi afferrò i bauli contenenti le armi e cominciò a frugarvi dentro. Vi erano scettri, ma non sapeva niente di magia… Trovò delle asce, ma erano troppo pesanti per lei… Estraè due pugnali gemelli. Erano a forma di tribale: le lame erano d’argento e i manici neri. Pugnali… per un confronto diretto col nemico. No, non facevano per lei…
Afferrò tre paia di shuriken, e scelse come arma una lunga e scattante frusta. La arrotolò e la poggiò sul tavolo, affianco agli shuriken e ai vari Etere ed Elisir che aveva trovato.
Passò poi alla parte più difficile e complessa: scegliere l’abbigliamento adatto a combattere…
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Dopo un paio d’ore che girava per le strade, la ragazza in moto, trovò un magazzino, dall’aria disabitata e decadente: il posto perfetto per nascondersi. Era stanca, ormai poteva anche rilassarsi, non la seguivano più da quando l'avevano vista in sella alla moto. Decise che se mai avesse incontrato quel pirla che aveva lasciato le chiavi dentro, lo avrebbe ringraziato.
Almeno per qualche giorno sarebbe stata tranquilla.
Sgretolò, semplicemente stringendola in mano, la serratura della saracinesca in acciaio e la tirò su. Ci infilò la moto e ci si chiuse dentro, facendo scorrere velocemente la serranda. Si girò. Era umido, freddo, e buio. Una lampadina elettrica pendeva dal soffitto basso. La ragazza afferrò la catenella e la accese. Era abbastanza spazioso e piuttosto spoglio. Le tubature erano rotte e dei rigagnoli d’acqua uscivano da esse.
<< Che merda di posto!- pensò la ragazza – ma sarà adatto a nascondermi per un po’ >>
Vide una porta dall’altra parte della parete, e la sua curiosità si riaccese dopo tanto tempo. Decise di andare in avanscoperta. Attraversò a passi sicuri il magazzino e varcò la porta: dava ad un negozio. Un negozio di abbigliamento fallito, eppure molti vestiti erano ancora là, sugli scaffali impolverati.
La ragazza guardò i vestiti che aveva addosso: erano sporchi di sangue e lacerati. Si tolse alcuni frammenti di vetro che le erano rimasti sulle braccia.
Si levò di dosso i vestiti sporchi, e cominciò a scegliere qualche vestito lì esposto. Ma non appena si tolse di dosso i jeans, sentì che qualcosa cadeva a terra. Guardò il pavimento e vide lì una catenina d’argento, fina. Si chinò, la prese e la esaminò attentamente. Era un ciondolo, sembrava la metà di un cuore… era carino, tutto sommato. Lo avvolse intorno al polso, indossandolo come braccialetto. Un’altra cosa attirò la sua attenzione: un cristallo, o un diamante a forma di goccia… o di lacrima. Lo mise sul bancone lì vicino. L’ultima sorpresa fu un braccialetto. Un braccialetto che portava alla caviglia, a dir la verità: era d’oro, come quella dei neonati, con la targhetta, e su quest’ultima c’era scritto qualcosa, ma non era leggibile: una macchia di sangue copriva la parola. Si poteva leggere solamente “k…i….”.
Si specchiò, parecchi minuti più tardi, davanti ad uno specchio anch’esso impolverato e sporco, alto quanto lei.
Una ragazza dai lisci capelli biondo miele (lunghi fino al ginocchio) ricambiò il suo sguardo soddisfatto. Non era molto alta: circa un metro e sessanta, dalla carnagione leggermente abbronzata di natura. I tratti del viso erano morbidi, aveva delle belle labbra soffici, ma non troppo carnose, delle curve generose e ben disegnate. Sulle braccia solcate da profonde cicatrici, che però non avevano niente a che fare con i frammenti di vetro, vi erano dei guanti a rete nera, che partivano da metà dita e arrivavano fino all’avambraccio. La cosa più curiosa e che colpiva di più chi la guardava per la prima volta, erano gli occhi.
Erano grandi e avevano lo stesso, inquietante, colore del sangue.
Indossava una canottiera nera, aderente, scollata, e sopra un giubotto in jeans scuro; dei jeans aderenti neri e un paio di anfibi.
Un pensiero allarmante, le attraversò la mente, non appena distolse lo sguardo dallo specchio. Tornò a guardare il proprio riflesso, stavolta con più intensità e incredulità. Sussultò. Non ricordava nulla che la riguardasse.
- Io… chi sono?- si chiese, stranita.
Poi, le tornò in mente quella voce che aveva udito poco prima di svegliarsi.
- Rixika…mi chiamo… Rixika- si ripetè, ma… Tanto, uno valeva l’altro. Poteva avere tutti i nomi che voleva, ma rimase per Rixika. Un nome era solo un nome, in fin dei conti… per quelli come lei, non poteva contare granchè.
Cercò di ricordare qualcosa della sua vita passata. Quella prima di addormentarsi. Immagini veloci e scorrevoli le invasero la mente. Ora tutto stava andando, dolorosamente, al posto giusto: Xehanorth, lo scienziato che l’aveva rapita… la madre di Kiira… l’operazione… tutto. Sì… Kiira stava litigando con sua madre per strada, quando alcuni heartless le attaccarono e fecero perdere loro i sensi. L’omicidio di “sua madre”, il risveglio nel laboratorio… la sua creazione, il cuore… le stragi nei mondi per mano sua…
Non provò alcun senso di colpa.
Mai l’ombra del risentimento le aveva attraversato il cuore, nemmeno per un secondo, da quando aveva cominciato ad uccidere. Eppure sapeva di avercelo, il cuore. Xehanorth gliel’aveva assicurato: era un Nobody con un cuore. Per quanto fosse un controsenso, era così. Un nessuno con il cuore del proprio “io originale”, ma con il corpo e volontà del Nobody. Ulteriormente modificata: DNA alterato e particelle di un metallo indistruttibile proveniente da un pianeta al confine della galassia. Un carro armato con sembianze umane. “Un’assassina assetata di sangue e sadica” l’aveva definita qualcuno, ma non ricordava esattamente chi. Forse uno degli aiutanti di Xehanorth…
<< Sarà come dice lui- pensò allora la bionda- sono portata per uccidere. E uccidere senza avere risentimenti, non è una cosa che riescono a fare tutti. Perché io non ho mai ucciso se non per una buona ragione… poi, ho cominciato a prenderci gusto, è vero. Perché tento di nascondere questo mia caratteristica? Vergogna? No, non credo… … Boh… Basta tentare di autopsicanalizzarmi: io sono così, punto. Bene, ora pensiamo a capire dove mi trovo e in che epoca sono… chissà quanto ho dormito? Che voleva quello di prima da me? Perché mi trovavo in quel… Castello-labirinto? Una cosa è sicura: devo trovare il modo di andarmene da qui. Devo trovare una Gummiship, a ogni costo, e un posto più tranquillo! Domattina, darò un’occhiata nei dintorni… devo stare attenta, però… qualcosa mi dice che quell’uomo non mi darà tregua. Perché era così interessato a me? Non penso dovrei fidarmi.. e se mi facesse addormentare di nuovo? No, non posso rischiare >>
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In un mondo distrutto dall’Oscurità, in un mondo dove la serenità era stata turbata da due individui senza pietà e senza scrupoli, solo qualche tempo prima…
Un boschetto, molto distante dalla città in ricostruzione, dove le piante crescevano indisturbate e dove la crudeltà dell’uomo non era ancora conosciuta…. Nel centro di esso, vi stava una grande cascata. L’acqua cristallina, trasparente e pura, correva ininterrottamente. Alla fine di essa, sulle rive di un delizioso laghetto, sedeva un uomo, a gambe incrociate.
Aveva lunghissimi capelli bianchi, occhi chiari come l’acqua, anche se in quel momento erano chiusi, e un’espressione seria sul volto affascinante e misterioso.
Di fianco a lui, stava appoggiata una lunghissima, affilatissima e sottilissima spada argentata.
Sembrava che dormisse, tanto era perfettamente immobile, come se facesse parte di quel paesaggio bello, ma pieno di pericoli.
Stava semplicemente riflettendo… quando, improvvisamente, captò un’aura oscura e potente. Nulla di che, se non fosse stato che la persona che possiedeva quell’aura si trovava a milioni di anni luce da quel pianeta, chiamato Hollon Bastion.
L’uomo come avvertì quell’Oscurità, aprì gli occhi di scatto, ma la sua espressione rimase imperturbabile come sempre.
- Pemburu…è risorto- sussurrò, con voce fredda e distaccata.
Un ghigno comparve sulle labbra pallide e sottili.
Ora ci sarà da divertirsi…
4.
Nello studio di Xemnas la situazione cominciava seriamente a terrorizzare Vexen.
- COME HA POTUTO SVEGLIARSI PRIMA DEL PREVISTO?!!- sbraitò il suo capo, in preda ad un’ira animalesca, che mai s’era vista prima sul volto del Superiore.
- M-me lo chiedo anch’io… è stato del tutto inaspettato che dopo tanto tempo, si sia risvegliata così improvvisamente… senza alcuno stimolo- rispose Vexen.
- … E TE LA SEI FATTA SCAPPARE???!!!- urlò Xemnas imbestialito.
- Signore, ha preso la moto di Axel e non ho potuto fermarla- cercò di giustificarsi il biondo.
- Sei un membro dell’Organizzazione, dovevi usare la magia, razza di buon a nulla!!
- Mi perdoni.
- Non ci faccio niente delle tue scuse!- disse irato il Capo dell’Organizzazione- Voglio quella ragazzina, Vexen! E al più presto! Mettiti immediatamente sulle sue tracce, non può essere andata lontano, non sa come viaggiare tra i mondi!
- Posso chiedere l’aiuto di Xaldin, signore?- domandò Vexen.
- Portati dietro chi vuoi, ma portami quella ragazzina o ti trasformo in un Simile!- concluse Xemnas, avvicinandosi all’enorme finestra che dava sulla città.
- Come se fosse già qui, mio signore- disse Vexen, uscendo dalla stanza.
Vexen uscì, chiudendosi dietro la porta, e si ritrovò davanti Axel.
- Che vuoi tu?- fece ostile Vexen, incazzato nero.
- Voglio indietro la mia moto, vecchiaccio!- rispose il rosso, furibondo.
- Cosa vuoi che me ne importi della tua stupida moto? Devo fare altro, quindi togliti dai piedi!
- Chi era quella ragazza?- chiese invece Axel.
- Nessuno di importante.
- Non per te forse, ma per Xemmy a quanto pare, sì… allora chi era?
- Chiedilo a lui. Anzi, avrai in modo di chiederlo direttamente a lei, dato che entro domani sarà dietro alle sbarre- disse Vexen, ponendo fine al discorso, e andò in cerca di Xaldin.
- Fottiti- borbottò Axel, dirigendosi in camera sua.
E così Xemnas si imbufalisce perché una ragazzina gli scappa da sotto il naso. Gli venne spontaneo porsi delle domande, oltre che a ghignare:
<< 1. Da dove sbuca fuori quella ragazzina? 2. Che ci faceva qui? 3. Come mai fuggiva? 4. Perché Xemnas ci teneva così tanto? 5. Che c’entra Vexen? >>
C’era qualcosa che Xemnas voleva tener nascosto, era ovvio. E lui era deciso a scoprirlo. Non tanto perché gliene fregasse davvero qualcosa: era per la sua moto! Beh, la prima cosa da fare era mettersi sulle tracce di quella ragazzina. Il problema era che quel mondo era molto vasto. La città al di fuori del castello era enorme, per non contare poi, la spiaggia e i vari buchi neri che ogni tanto comparivano qua e là.
<< Forse Roxas ne sa qualcosa…- pensò il rosso -… ah, no… è in missione, il biondino…! >>.
Si lasciò cadere sul letto matrimoniale della sua camera.
<< Dio, come mi manca!! Chissà Xemnas dove diammine l’ha mandato, lui non mi dice mai dove va’ in missione. Sono giorni ormai che è via, e mi chiedo se non sia finito nei casini…>>
I suoi pensieri furono interrotti da Xaldin, che abbattè la porta, urlando, in preda alla rabbia:
- AXEL, HAI FATTO TU LA LAVATRICE?
Il rosso lo guardò stranito: - Sì, l’ho fatta io Xal, che cazzo mi vieni a rompere i coglioni?
- FIGLIO DI BUONA DONNA, RAZZA DI FROCIO PERVERTITO, NINFOMANE!- sbraitò ancora di più l’altro.
Per Axel era troppo: scattò in piedi e fece comparire i Chrakam (anelli di fuoco). Xaldin invocò le sue sei lance e disse: - Me la pagherai!
- SI PUO’ SAPERE CHE MINCHIA TI HO FATTO, PEZZO DI IDIOTA?!- domandò Axel, lì lì per sbranarlo.
- Guarda come hai ridotto la mia roba, frocio!- rispose l’uomo, lanciandogli i boxer.
Erano diventati rosa. Così come il resto della biancheria intima e la sua uniforme. Axel rimase un attimo ad osservarli, poi scoppiò in una risata isterica e sguaiata.
- Devo…………….aver messo………. Il maglione di Natale……….. per sbaglio……..!!!!!!!!!!- balbettò tra una risata e l’altra.
- Laviamo questa offesa con il sangue!- disse irato l’altro.
- Sì, certo… confettino!
- COME MI HAI CHIAMATO?!- ruggì Xaldin.
- Confettino. Got it memorized?-
Ma prima che Xaldin potesse attaccarlo, alle sue spalle dell’uomo comparve Vexen.
- Che diammine vuoi tu?!- grugnì in preda agli spasmi l’uomo.
- Abbiamo una missione, muoviti, che ti spiego- tagliò corto Vexen.
Xaldin annuì, ma prima di lasciare la camera di Axel, disse, rivolto al rosso, che ancora si sganasciava: - Avrò la mia vendetta, Axel!
- Se sé… Ciao ciao Confettino!- lo salutò stupidamente Axel, sghignazzando ancora.
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Sull’ultimo piano della Torre del Castello di Yen Sid, nel frattempo, Sora era sull’orlo di una crisi di nervi.
Le tre buone fate della Bella Addormentata stavano nuovamente bisticciando per il colore dei nuovi abiti del ragazzo.
Pippo e Paperino, che erano già pronti, sedevano su dei puff di velluto rosso, dietro al Prescelto.
- No, glielo facciamo ROSA!!
- Sei sempre tu che decidi! Glielo faremo BLU!
- Basta, finitela tutte e due! Ho già deciso per il VERDE!!!
- ROSA!
- BLU!!
- VERDEEEE!!!
Sora si passò una mano tra i folti e ribelli capelli castani e sospirò, seccato.
- ORA BAAAAASTAAAA!!!!- urlò, disperato.
Le tre fatine ammutolirono.
- MA QUANTO DIAMMINE CI VUOLE PER SCEGLIERE IL COLORE DI UN DANNATISSIMO VESTITO?!- le rimproverò- NON CI DEVO MICA SFILARE SAPETE???!!! DATE QUA, CHE FACCIO DA ME!
E detto ciò strappò la becchetta di mano a Fauna, la fatina che vestiva sempre di verde e se la puntò contro.
La agitò e i suoi abiti si trasformarono.
Divennero un tutù rosa, con tanto di scarpine.
Sora si guardò allo specchio alle spalle delle fatine e lanciò uno strillio terrorizzato: Paperino e Pipo si sganasciarono dal ridere.
Il ragazzo li guardò male, rosso come un peperone, e agitò nuovamente la bacchetta.
Quando si voltò verso i suoi amici, i due non seppero se ridere o sbavare. Sora era vestito con un completino aderente da infermierina sexy, che tra l’altro gli calzava a pennello, lungo fin poco sotto i fianchi snelli, tanto che gli si vedevano i boxer con le macchinine.
Aveva una siringa finta nella sinistra e la bacchetta nella destra. Aveva persino del rossetto rosso fiammante sulle labbra e un ombretto azzurro sopra le palpebre!
Tornò a guardare il proprio riflesso e quasi ci mancò che gli venne un attacco cardiaco. Più rosso che mai, dimenò la sottile bacchetta d’oro e i suoi vestiti cambiarono ancora…
Diventarono un bellissimo completo rosso (maschile!!!), con dei bellissimi e complicati disegni in oro.
La giacchetta gli stava da dio (-__-), e i pantaloni erano a pinocchietto, un po’ larghi; aveva anche dei guanti in pelle fino a metà dita, rossi, e scarpe comodissime del medesimo colore.
- Mhmm… che ne dite?- domandò, rivolgendosi a Paperino e Pippo. I due annuirono convinti, ancora con le lacrime agli occhi per le risate, e Sora , ancora imbarazzato, si rivolse alle tre fatine, che lo fissavano un po’ spaventate e traumatizzate.
- Grazie infinite, e arrivederci!- le salutò, prima di varcare, insieme ai suoi due amici, il portone.
Fuori, nel corridoio, trovarono il Ministro del Re, che non appena li vide, disse: - Prescelto, cos’hai sulle labbra?
Sora, allarmato, portò le dita alla bocca e poi davanti agl’occhi. Merda: gli era rimasto il rossetto!!! Sfregolò con decisione e vergogna le labbra contro il dorso della mano.
Yen Sid decise di non indagare e annunciò: - Siete pronti a ricominciare il viaggio? La vostra Gummiship è qui fuori che vi attende.
- Grandioso!- fu il commento di un super sorridente Sora.
- Grazie infinite, maestro!- disse Paperino.
Pippo sembrava troppo assorto nei suoi pensieri per biascicare una qualunque parola…
I tre montarono sulla loro fantastica navicella spaziale, e Paperino si mise ai posti di comando.
- Pippo, accendi i motori!- disse il papero, ma l’altro non si mosse dalla sua postazione.
- Ehi!- strillò Paperino, per svegliare il compagno.
- Yuk! … Che? Ah, si i motori, agghioff!- cadde dalle nuvole Pippo, pigiando i tasti dei comandi dei motori.
- A che stavi pensando?- domandò, curioso, Sora.
- Niente, nulla, non preoccuparti!- rispose Pippo, nascondendo il suo imbarazzo.
- Che ne dite se andiamo a trovare Leon e gli altri? E’ tanto che non li vediamo…- propose, per distogliere l’attenzione da lui, e per distogliere i suoi perversi pensieri che avevano per protagonista Sora vestito da infermiera…
+++
Un’ora più tardi la principessa raggiunse la Regina Minnie nel “garage” della Gummiship Reale.
Minnie la guardò soddisfatta e Kairi ricambiò con un sorriso.
- Questa, principessa, sarà la sua Gummiship- le mostrò una piccola Gummiship, tutta rosa e gialla.
- E’ facile da manovrare, veloce e leggera. Anche se non ne ha mai guidata una, imparerà in un minuto, con questa- continuò la reale.
- La ringrazio.
- Oh, non lo pensi nemmeno. Lei sta andando a salvare i mondi! E’ il minimo che possa fare!- ribattè Minnie.
- Bene, allora… addio- la salutò Kairi, con un inchino.
- Faccia molta attenzione, Kairi.
La settima principessa, salì, allora, sulla sua Gummiship. La regina tornò nella saletta. La porta del garage si aprì e la piccola Gummiship si librò nello spazio. Kairi accese tutti i motori e partì a tutta velocità verso l’infinito.
- Ora non si può più tornare indietro- si disse, e cominciò il suo viaggio.
Prima destinazione: Hollon Bastion.
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Xaldin guardava Vexen piuttosto incazzato.
- Tutto questo casino per una bambina?- sbottò, contrariato.
- E’ furba, Xaldin. E anche molto forte- ribattè semplicemente Vexen, mentre stava seduto al computer.
Stava cercando di rintracciare le onde elettromagnetiche emesse dalle nanomacchine che la ragazza aveva in corpo. Era l’unico modo per rintracciarla. Fortunatamente la ragazza non sapeva aprire varchi per l’Oscurità, sennò sarebbero stati cavoli per lo scienziato dell’Organizzazione. Il computer non avrebbe saputo rintracciarla.
- Ti sei fatto battere da una ragazzina. E’ assurdo…
- Taci. Tutto ciò che devi fare è andarla a prendere e portarla da Xemnas, non è poi così complicato, non capisco di cosa tu ti possa preoccupare…
- E’ che è troppo facile e banale per me, Vexen. Io, al contrario di te, ho di meglio da fare che andare in cerca di ragazzine!
- Sì, certo… masturbarti tutto il giorno nella tua camera…!- ribattè acido lo scienziato.
- Non l’avesse mai detto: Xaldin quasi gli ficcò una delle sue sei lance su per il di dietro.
5.
Rixika era seduta in un angolo con un mal di testa pazzesco. I ricordi le stavano riemergendo, lentamente e dolorosamente dalla parte più incognita della sua mente.
Le immagini scorrevano veloci, così anche i suoni, e le emozioni, come in un film…
### Era nella cucina del palazzo di Xehanorth. Aveva dodici anni. Era ancora Kiira. Lo sguardo perso e un po’ triste fisso sulla ciotola di cereali che aveva davanti. Non aveva fame, non voleva fare colazione.
Un uomo dai lunghi capelli bianchi e la carnagione scura la guardava preoccupato.
- Perché non mangi?- le chiese, gentilmente.
- Non ho fame- rispose seccamente la ragazzina.
- C’è qualcosa che non va?
- No
- Dai, Kiira, sai che a me puoi dire tutto. Sono tuo padre, dopotutto…
La ragazzina lo guardò un po’ diffidente, ma poi parlò:
- Beh… io, ecco… mi sento un po’…. Sola, ecco. Non ho nessuno con cui giocare, nessuno con cui…- si interruppe improvvisamente, imbarazzata, vergognosa dei suoi desideri.
- Capisco. E’ normale, Kiira.
- I-io… non so… voglio… amare. Che cos’è l’amore? Come si fa? Non ricordo di aver mai… amato…
Xehanorth la guardò quasi come se fosse intenerito. La ragazzina si arricciava nervosa una ciocca di capelli biondo miele.
- E’ un sentimento molto bello, Kiira. L’amore è forse la cosa più bella in questo mondo. Però, non arriverai a nulla, provandolo… anzi, ti faresti del male. L’amore va a braccetto con la sofferenza. Danneggia la tua felicità e non ti dà pace. Se vuoi autodistruggerti fai pure, ma se vuoi essere davvero serena, sarebbe meglio che eviti di cercare ciò che ti può recare solo sofferenza- rispose pacato l’uomo.
La ragazzina lo guardò delusa e Xehanorth aggiunse: - Lo so che non è bello da sentire, soprattutto alla tua età però è la verità. E poi tu non hai bisogno di una cosa tanto futile. Il tuo futuro sarà senza preoccupazioni, una volta che ti avrò resa completa, dovrai solamente fare ciò che ti piace più fare: uccidere e combattere. E ti pagheranno pure per farlo… vivrai viaggiando per i mondi, come hai sempre voluto, cosa vorresti di più?###
L’immagine sfocò e un’altra prese il suo posto.
Rixika (oramai da tre anni) stava trasportando un cadavere e trascinava un Heartless (uno shadow) per le antenne.
Varcò la soglia del laboratorio del palazzo di Xehanorth.
- Ehi, Ansem. Te li ho portati… ma si può sapere che ci devi fare?- domandò la ragazza, poggiando il cadavere di una sua coetanea sul tavolo da laboratorio.
Lo studioso non rispose, e le chiese: - L’hai semplicemente strangolata, vero?
Rixika alzò gl’occhi al soffitto e disse: - Certo, esattamente come mi hai detto tu. Non vedi i segni sul collo?
- Sì, sì va bene. Esci ora, Rixika. E’ una cosa di assoluta importanza…
Rixika lo vide mentre già si fiondava con il bisturi sul giovane corpo morto, e, disgustata, uscì.###
Le immagini s’interruppero di botto, per lasciar spazio all’ultima.
### Xehanorth, ansioso e impaurito cercava Rixika per i corridoi del castello. Non appena la trovò (sulla terrazza che guardava malinconica il mare), urlò: - Muoviti, forza. Dobbiamo correre prima che ci trovino!
La ragazza lo guardò sconvolta e confusa, e mentre lo scienziato la trascinava verso i sotterranei per un braccio, chiese: - Ma che cazzo succede?!
- Dai, sbrigati, o ci trovano subito- diceva concitato l’uomo, senza ascoltarla.
La portò nell’ultimo sotterraneo.
- Dovrai sparire per un po’, Rixika- le disse, mettendosi al computer.
- Cosa? Che cazzo stai dicendo?- gli fece, stranita, lei.
- Non ti preoccupare, non appena tutto sarà finito, andrà tutto bene. Ti sveglierai e…
- ANSEM, CHE CAZZO SUCCEDE?!!- urlò stavolta seria, la bionda, che cominciava seriamente a preoccuparsi.
Lo scienziato non rispose e dopo un po’, le si avvicinò e le disse, indicandole un ovetto bianco aperto:
- Entra…
La ragazza lo fissò incredula: - Come puoi….?
Lui ce la scaraventò dentro, senza tanti complimenti, e si rimise velocemente al computer.
L’ovetto si chiuse prima che la ragazza potesse capire che cos’era successo. Battè sulla parete di cristallo e urlò: - Fammi uscire! ANSEM!!
Un senso di orrore le attanagliava la mente e lo stomaco. Rixika ebbe come la sensazione che non sarebbe più uscita da lì. La stava imprigionando.
- Noooo!!###
Tutto si fece buio e le immagini svanirono del tutto. Il mal di testa se ne andò così com’era venuto. Il flusso di ricordi smise di scorrere.
Rixika aprì gli occhi e finalmente trovò un po’ di sollievo. Sospirò e inspirò profondamente. I flashback della sua memoria che poco a poco tornavano erano dolorosi e sfaticanti.
Sapeva che sarebbe stato rischioso, ma uscì dal magazzino: aveva bisogno di cambiare aria. Non appena si alzò un senso di nausea la travolse, ma lei marciò decisa fino all’uscita del garage. La moto avrebbe attirato troppo l’attenzione e così s’incamminò a piedi.
Era passato un giorno, da quando si era svegliata nel Castello e il suo cervello stava riprendendo a funzionare. Eppure, ancora non aveva scoperto come diammine era finita in quel mondo. Era notte, ma nessuna stella splendeva in cielo, poiché c’erano troppe nuvole scure a coprirle. I nuvoloni, inoltre, annunciavano pioggia. Ma in quel momento non gliene importò nulla. Aveva bisogno di farsi un giretto per sgranchirsi.
Si avviò per le strade buie e fredde di quel mondo desolato. Non incrociò nessuno durante la sua ronda. Quella città sembrava disabitata. Le luci dei palazzi erano tutte accese, ma sembrava che nessuno ci abitasse.
Rixika si guardava intorno, ma ciò che vedeva era sempre lo stesso, deprimente, scenario.
Vide, in fondo ad un’ampia strada, un parco giochi abbandonato.
Decise di dargli un’occhiata, e ci andò.
Il cancello era stato sfondato e piegato. Alcune fontanelle fatte a pezzi, alcune panchine spezzate in due. Le uniche cose che sembravano essersi salvate sembravano essere un paio di altalene, di fronte ad un boschetto inquietante.
Rixika passò davanti a scivoli pieni di fango, a giostrine distrutte, e scavalcò un paio di bidoni della spazzatura rovesciati.
Si sedette su una delle altalene e appoggiò il capo contro la catena che la sosteneva alla trave. Era difficile riprendere in mano una vita dopo tre anni e mezzo di coma in una prigione di cristallo. Forse, “riprendere in mano” era un po’ troppo forte come termine. Lei non stava riprendendo in mano le redini della sua esistenza, ma stava aspettando di ricordare tutto ciò che le era successo nella sua vita per capire meglio chi era e cosa doveva fare; ma una cosa era sicura: doveva andarsene da quel luogo. Non la convinceva. Soprattutto l’uomo che aveva tentato di fermarla.
Cosa avrebbe dovuto fare per andarsene? Trovare una Gummiship? Certo, e dove? Nell’uovo di Pasqua?!
Un modo per andarsene l’avrebbe comunque trovato, alla fine. Le occorreva solo del tempo. Tempo per ricordare, tempo per schiarirsi le idee, tempo per trovare una soluzione… tutto tempo che non aveva, e che non poteva avere. Il tizio, probabilmente era già sulle sue tracce, e non ci avrebbe messo molto a capire dove si trovava…
Un rumore la fece sobbalzare, distogliendola dai suoi problemi.
Un tizio vestito di nero si era accasciato pesantemente sull’altalena di fianco alla sua.
Scusa, non volevo spaventarti- disse. Aveva la voce di un ragazzo: bella e calda, in netto contrasto con l’atmosfera e l’ambiente che li circondava.
La ragazza lo guardò. La debole luce di uno dei pochi lampioni ancora funzionanti lo illuminava. Non gli si vedeva il volto, poiché aveva il cappuccio che gli copriva metà faccia. Le uniche cose che vedeva era il suo naso, piccolo, perfetto, che si alzava presuntuoso verso il cielo, la bella bocca morbida e una frangia bionda, un po’ lunga.
- Pensieri profondi?- le chiese, dopo, lui.
- Più o meno… sì decisamente- rispose lei, diffidente.
- Anch’io vengo qui per pensare. Non ti ho mai vista, prima, però...
- …
- Non sei un tipo loquace…
- Più che altro, non mi fido degli sconosciuti- disse Rixika, freddamente.
- La mamma ti ha insegnato bene…
Rixika rise di gusto. Ma era una risata senza alcuna traccia di gioia. Suonava più come una presa per il culo.
- Mia madre mi ha insegnato unicamente che sopravvive solo il più forte.- disse, scettica- Per il resto, non ha avuto né modo, nè tempo da dedicarmi… non le è mai importato qualcosa di me.
- Perchè? Che le è successo?
- Semplicemente... si è scontrata con il più forte. Contro una spranga di ferro, ad essere precisi... è morta.
- Mi dispiace.
- A me no.
Il ragazzo la guardò: si dava deboli spinte con il piede destro, il suo sguardo era fisso davanti a sé. Non riusciva a vederla bene, perché lei era in ombra, solo il colore dei capelli. Avevano dei riflessi dorati ma i capelli erano troppo lunghi. La sua voce era… indescrivibile. Mistica, quasi fosse uscita da un sogno…
- Beh, almeno l’hai conosciuta.
- Avrei preferito crescere in un orfanotrofio, e vivere nella solitudine piuttosto che crescere con una persona così… ma, in fondo, sono sempre stata sola. Ho sempre dovuto provvedere a me stessa, perché a nessuno fregava qualcosa di me. E penso che continuerò così, fino alla fine…
- Non hai amici? Fratelli? Un padre?
La ragazza rise nuovamente. Fredda e penetrante, come una lama di ghiaccio:
- Non ho mai saputo chi era mio padre. Mai visto, nemmeno una volta in vita mia… e sinceramente, non me n’è mai fregato di vederlo: “a te non te ne frega di me? Bene, io me ne sbatto di te!” questa, è la mia politica. Gli amici… non so nemmeno cosa siano! Fratelli…- la ragazza avvertì una dolorosa fitta alla testa. Si portò una mano alla fronte, abbassando un poco il capo.
- Ehi, è tutto ok?- chiese il ragazzo.
- Fratelli, sorelle… non credo- rispose la ragazza, mentre la fitta passava. Era stato un attimo di intenso dolore, ma solamente un attimo.
- Come… non credo?
- Senti, non farmi domande così. Sono cazzi miei- rispose scazzata lei.
Rimasero qualche secondo in silenzio. Il fruscio minaccioso dei cespugli segnalava l’arrivo del mal tempo. Un colpo d’aria gelida attraversò il piccolo parco giochi.
Il ragazzo si strinse nel suo spolverino, e si tenne il cappuccio sul volto. La ragazza lo osservò curiosa: perché tutta quell’ansia per nascondersi il volto?
- Perché ti tieni il cappuccio?- gli domandò, cambiando registro.
- Perché sono cazzi miei.
- Anche lui aveva cambiato registro. Sembrava che non volesse parlare di sè.
- Sai per caso dove posso trovare una Gummiship?- fece lei, allora, più distaccata.
- Perché questa domanda?
- Perché me ne voglio andare, e l’unico mezzo è una Gummiship, no?
- Beh, ce n’è un altro… ma non penso che…
- Che modo?
- No, non puoi. Sei troppo debole per sopportarlo- riflettè lui.
- Ma una stramaledetta Gummiship ci sarà no?!- la ragazza si stava di nuovo scazzando.
- No.
Rixika si rassegnò: sarebbe dovuta rimanere in quel luogo. Vacca troia, vacca troia, VACCA TROIA!!!
- Senti, perchè hai tutta questa voglia di andartene?
- Perchè sono metereopatica... e qui piove sempre, perciò...
Il ragazzo rise. Simpatica però.
Un lampo tagliò in due il cielo. Un tuono fece sobbalzare la ragazza, che per poco non cadde dall'altalena. Un lampo accecante lo seguì, e il ragazzo fissò la sua coetanea.
Subito dopo, lei alzò lo sguardo al cielo, e una goccia di pioggia le cadde sulla guancia, proprio sotto l'occhio, come fosse una lacrima.
- Merda- disse, tirandosi velocemente in piedi.
- Che c'è? Hai paura?- la derise, divertito, lui.
- Me ne devo andare. Ora. Adesso.
Rixika non lo ascoltò, e cominciò a camminare verso il cancello del parchetto, senza degnare di uno sguardo il ragazzo ancora seduto sull'altalena.
6.
Lui la guardò allontanarsi e sparire nelle ombre della notte. Sorrise tra se e sè. Chissà chi diammine era quella ragazza. Aveva davvero un bel caratterino lunatico.
Non l'aveva mai vista prima.
Probabilmente, doveva aver perso il suo mondo e si era trovata sola in questo. Strano, però che sapesse come viaggiare tra i mondi; era davvero curioso anche la sua voce: non sembrava appartenesse ad un essere umano, eppure aveva un aspetto normale, per quanto aveva potuto vedere.
Il ragazzo si alzò, e la pioggia cominciò a farsi, pian piano, sempre più fitta. S’incamminò a sua volta per le strade bagnate e spogliate, abbandonate, sotto la pioggia torrenziale.
Il volto ancora coperto, le ciocche bionde che coprivano gli occhi e metà volto, la pioggia che scivolava sull’impermeabile. Passi decisi e sguardo fisso: i suoi piedi lo costrinsero a dirigersi verso casa. Casa… una parola strana. Eppure non avrebbe saputo come altro spiegare quella gradevole sensazione che lo invadeva quando tornava al castello dell’oblio. Il senso di calore che provava quando rivedeva alcune persone a lui care. In teoria non avrebbe dovuto provare alcun sentimento, lui (teoria vivamente sostenuta da Vexen). Non era altro che un guscio vuoto, un errore, uno scherzo della natura, innaturale.
Si addentrò per stradine strette e buie, ed arrivò ad un enorme precipizio. Alzò lo sguardo e spostò la frangia da un lato; il Castello dell’Oblio splendeva di una spettrale luce bianca, perennemente sospeso sulla voragine. Tutto ciò che circondava l’abisso erano i grattaceli, i palazzi scuri, illuminati dalle luci al neon. Il mondo dei Nobody. Un mondo meschino, buio, impenetrabile. Il suo mondo.
Il ragazzo si teletrasportò nell’ampio atrio del palazzo. Si guardò intorno e notò che c’era qualcosa che non andava: era come se mancasse qualcosa. Scacciò il pensiero: era troppo stanco per soffermarsi su quelle cose. L’unico suo pensiero, in quel momento era andare a buttarsi su un materasso e non alzarsi per almeno 24’ore.
Salì i gradini lentamente, con il capo chino, sino al tredicesimo piano, l’ultimo prima della terrazza che fungeva da tetto al castello.
Era giusto arrivato davanti alla porta della sua stanza, che sentì un sibilo dietro di lui. Si buttò di lato e finì lungo disteso sul pavimento bianco splendente.
Due anelli infuocati si conficcarono sulla parete, avvertì qualcuno avvicinarsi, e una voce familiare dire:
- Bentornato, biondino. Non si usa salutare?
Il ragazzo sospirò un po’ spazientito, e rispose: - … e ti sembra il modo di salutare, questo, Axel?
Un ragazzo dai capelli rossi, molto alto e magro, gli si avvicinò, e gli porse una mano, dicendo:
- Sempre a lamentarti, tu…!
- Ci credo! Hai attentato alla mia vita!- ribattè l’altro, alzandosi.
- Vedi? Seempre a lamentarti…! Sempre, sempre.
- Dai, sono stanco, lasciami andare a dormire- sbottò il biondo.
- Va bene, per stasera avrò pietà di te, ma domani dovrai raccontarmi tutto, got it memorized?- disse allora il rosso, girando su i tacchi.
- Sì, sì… - annuì il biondo, entrando finalmente in camera sua.
La sua stanza aveva pareti bianche con una sfumatura di azzurro, così come il pavimento. Era molto ampia, con pochi e semplici mobili. In fondo, vicino alle ampie finestre, stava un grande, per non dire enorme, letto a baldacchino con le lenzuola in seta bianche, e le tendine trasparenti.
Il ragazzo quasi si commosse, nel vedere quel letto caldo caldo, soffice soffice, pronto ad accoglierlo.
Si sfilò il cappuccio nero, e si passò una mano guantata tra i capelli bagnati.
Qualcuno si materializzò a pochi centimetri da lui, e il biondino venne colto da un principio di attacco cardiaco.
Un uomo sulla quarantina (???????... sono stata gentile >_<), con lunghi capelli biondo scuro, sporchi e occhi marroni lo guardò, severo.
- Sei tornato, numero XIII. Devi fare rapporto.
- Vexen… mi hai fatto fare un infarto!- sbottò il ragazzo, cercando di riprendersi.
- Non hai un cuore per farti venire degli infarti!- ribattè l’altro, e il ragazzo abbassò lo sguardo, e Vexen riprese: - Hai visto qualcosa di strano mentre tornavi, per caso?
Il ragazzo lo guardò stranito: perché quella domanda?
- No. Avrei dovuto?
- E la moto di Axel l’hai vista?
- No… ma non è in atrio?
- No, gliel’hanno rubata.
Il ragazzo si fece interessato: - E chi gliel’ha rubata?
- Una ragazzina. Capelli biondo scuro, molto lunghi… l’hai vista?
Il biondino ci riflettè: - Una ragazza l’ho vista…
- Dove?
- Vicino al parco, non molto distante dal Vicolo che Non C’è.
- Bene numero XIII, ora…
- IO-HO-UN-NOME!!!- esclamò alterato il ragazzo.
Roxas, domani devi andare da Xemnas che vuole un rapporto dettagliato e completo sulla missione- finì Vexen, prima di sparire così com’era apparso.
Il biondino, rimasto finalmente solo, si tolse di dosso i vestiti bagnati. Si infilò sotto le coperte del suo larghissimo letto e si raggomitolò su se stesso. Perché Vexen gli aveva chiesto della ragazza? E come aveva fatto quella a rubare la moto di Axel, che era sempre tenuta all’interno del castello? Doveva essere dentro il castello, allora. Ma come c’era arrivata?
Il ragazzo di nome Roxas si addormentò tra mille dubbi e domande, mentre il temporale ancora infuriava nel Mondo dei Nessuno.
Una voce talmente bassa e melodica da sembrare un sibilo… Completamente buio attorno a lui… Un senso di pace e serenità lo avvolgeva, e si sentiva al sicuro, protetto…
Era come essere sospesi tra l’essere e il non essere.
Poi la voce gli invase la mente, cullandolo quasi:
- Il Keyblade, arma potente, distruttiva e portatrice di pace al contempo. Il cuore del suo portatore sarà puro e trasparente come l’acqua. Da solo svierà il Male… e verrà la Luce. Eppure seguita dalle sue sorelle: Alba, Tramonto, e Oscurità. Ognuna con la propria storia…
La Luce, pura e inestinguibile, eterna. L’Alba, nata nelle tenebre e cresciuta in esse, giungerà, prima o dopo, alta nel cielo. Il Tramonto, nato nella Luce più pura che mai, crescerà tuttavia nell’ombra, sino a finire nell’oblio assoluto e perpetuo. L’Oscurità fatiscente ed eterna anch’essa, sarà la lotta più ardua.
…ognuna con la propria nemica.
Il Tramonto contro l’Alba. La Luce contro l’Oscurità.
…ognuna con la propria strada.
Le quattro combatteranno tra loro, si scontreranno più e più volte sui mondi, provocando l’irreparabile; nemmeno il custode del Keyblade saprà ristabilire la pace, non potrà fermarle, perché il loro potere è immenso ed inesauribile, ed egli cadrà per mano dell’ultima…
Semplicemente Nessuno potrà porre fine ai conflitti e ristabilire serenità e felicità sui mondi devastati.
Semplicemente, Nessuno…
Solamente gli antichi guardiani riusciranno a ristabilire l’equilibrio spezzato, ma essi dovranno destarsi e trovare dei corpi in cui abitare…
Un’altra voce, roca, di un uomo maturo, si sovrappose a quella, coprendone le parole:
“ - Tu sei portata per uccidere. Non ho parole per descriverti. Non hai nome. Vivi nell’azione della morte. Il sangue urla. La ferita è penetrante. Sei la distruzione, assoluta. Sola. ”
La voce di un ragazzo, stavolta:
<<… Adesso che ti stai sacrificando per salvare i mondi non riesci a capire perché lo stai facendo. Per l’Universo o per il cuore di lui? Gli umani sono gli esseri più egoisti del mondo, quindi è credibile che lo stia facendo solo per te stessa. Lo stai facendo per far vedere agli altri fin dove si spinge il tuo amore, e per far capire loro che non ci sarete sempre tu e Sora a proteggerli. Sei ad un passo dallo svanire nel nulla, quando la tua determinatezza comincia a vacillare. Hai sempre avuto questa paura: scomparire nel nulla, come se non fossi mai esistita; era una cosa che ti faceva rabbrividire. Hai paura? Ci stai ripensando? Beh, è tardi oramai. La tua vita di guardiana finirà qua. Quando ti sveglierai e vedrai l’alba, capirai che una nuova era di guerre ha avuto inizio. L’Alba con i suoi riflessi dorati ti ha fatto capire quanto fosse bello il posto in cui eri prima di tutto ciò… Ma i tuoi amici non riusciranno mai a comprenderlo. Loro non sanno che la vita al di fuori di questo mondo era molto meglio. Questa realtà è l’Inferno? Certo, lo è. Ma quando tornerai, le cose saranno diverse… >>”
Le voci si fecero sempre più confuse, si sovrapponevano, si confondevano, e altre se ne aggiungevano…
- … Uccidere è il mio lavoro.
- …è stato l’amore che mi ha portato a ciò. L’amore è la più lenta forma di autodistruzione.
- non ti lascerò mai hai capito? E neanche tu devi lasciarmi!
- … è un compito che devo portare a termine…
- Con tutti i mondi che ci sono… perché siamo finiti proprio su questo?
- Sono tutto ciò che avresti potuto essere.
- Kairi, io…. Tu…. oh, mi ero preparato un discorso e ho dimenticato il foglietto!
- Non abbandonarmi! Non farlo… ancora!
- Sei la mia luce… e lo capisco solo ora che ti ho perso.
- Non ti preoccupare, ti dimenticherai di me… ma noi abbiamo la nostra promessa, quindi tornerò da te. Presto o tardi!
- Sei proprio tu. Ho aspettato molto prima di incontrarti… e ora che ti ho davanti, non so se ridere o piangere.
- Lei ha ragione mocciosa. Devi darmi qualcosa prima, ma puo’ rivelarsi un prezzo troppo alto per te…
- Io sono… Songkei?
- Tu non scomparirai. Sarai completo.
- E’ sangue del mio sangue. Non potrebbe mai farmi del male…
- Ricorda. Sarai tu che aprirai la porta della Luce.
- …... La cosa più difficile al mondo… è viverci……
- Verrà il tempo in cui potremmo finalmente stare insieme… Chains, ti amo.
- Semplicemente Nessuno potrà porre fine ai conflitti e ristabilire serenità e felicità sui mondi devastati.
Roxas si girava e rigirava nel letto. Il bel volto contratto da una smorfia di sofferenza. La fronte era imperlata di sudore. La testa gli scoppiava, le voci si facevano sempre più forti e lo assordavano.
- Semplicemente, Nessuno.
Il ragazzo si svegliò urlando, con le mani sulla faccia. Perché aveva urlato?
Non se lo ricordava. Sapeva solo che aveva un pazzesco mal di testa Il sole era coperto da fitte nubi grigie che mai lasciavano il cielo del Mondo Che Non Esistere.
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